enrico, gianluca, mizio, mrwhite, e molti altri… nei commenti a questo post di gianluca , conversano sul marketing virale, sui contenuti generati dagli utenti, su chi la pubblicità la fa, su chi la paga, e su chi la “subisce”(mamma fluido che nonno che sei! la pubblicità non te l’hanno ancora detto che non si subisce più, ma la si co-crea! azz!!! mannaggia a te).
e secondo me lo fanno bene, molto bene. (sono un pò provocatorio, ma sapete quanto la mia stima per voi è sincera!)
finisco di leggere il post… poi i commenti… e mi domando ma di cosa stanno discutendo?
allora provo a fare questo.
copio e incollo le frasi (o forse i concetti) in cui mi rispecchio (ve l’ho anticipato che questo post sarebbe stata una seduta di outing!):
“Io sono ancora ingenuamente convinto che il ‘vero’ marketing virale non possa che nascere dal design innovativo o da una superiore e fantasmagorica capacità di soddisfare i clienti. Certo non funziona per prodotti sui quali le persone non vogliono più nemmeno perdere tempo a parlarne. Ma in ogni caso non funzionerebbe, per questi prodotti, nemmeno il virale “indotto”. (powered by minimarketing)
Ops! guardo, rileggo!: accidenti! solo questo!
e poi mi dico:” dai luca, parli così? tu sei un “viral native”! (questo è nuovo…”digital native”)cosa fai sputi nel piatto dove hai mangiato fino a ieri?, dai non si fa!”
quindi mi fermo e provo a pensare.
quindi scrivo:
azz! proviamo a semplificare…(ci hanno pure scritto un libro!…sul concetto di semplicità intendo)
ma dobbiamo proprio continuare a chiamarlo marketing virale? si sa la blogosfera e gli addetti ai lavori (compreso il sottoscritto…il solito nonno)ci tengono ai nomi…o forse dovrei dire alle brand?
virale non indica forse solo la modalità di propagazione del messaggio? di fatto tutti siamo d’accordo che il passaparola esiste dalla notte dei tempi, no?
azz! poi mi dico… e l’internet o l’aspetto tecnologico non lo consideri? quanto questo influenza le strategie di marketing innovative/alternative/moderne (ecco è uscito ancora il nonno che è in me!)?
internet, tecnologia, social network, blogosfera, wiki, 2.0, CGM e chipiùnehapiùnemetta…sono realtà, concetti, fenomeni che tutti quelli che fanno il nostro mestiere dovrebbero studiare, approfondire, digerire per poi SI’ concepire (anche sperimentando…per l’amor del cielo) IDEE che abbiano la forza di comunicare migliori prodotti, migliori servizi, di aziende (migliori) che hanno capito che il consumatore/utente e il contesto in cui vive sono cambiati!
ecco gianluca, forse l’unica cosa che avrei aggiunto al tuo pensiero… è il concetto di IDEA, perchè concordo, i prodotti sono importanti, ma siccome fortunatamente (sai… la pubblicità mi da il pane…!) poi i prodotti/servizi vanno comunicati… è l’IDEA, o se preferisci, il CONCETTO, che regge l’impianto strategico di una campagna che ne determina la sorte. buona o brutta che sia!
certo cambiano i costi di produzioni, cambiano i formati, cambiano le pianificazioni media, cambiano i device, cambiano le metriche di misurazione, cambiano i budget…e chipiùnehapiùnemetta…. ma i basics rimangono e rimarranno gli stessi fino alla fine dei tempi, ciò che cambia e cambierà per sempre sono le persone, l’ambiente in cui vivono e gli strumenti che utilizzano per comunicare! questi sono i DETTAGLI che oggi chi fa il nostro mestiere (e non solo) non può più trascurare se vuole produrre campagne virali, innovative, alternative e chipiùnehapiùnemetta.
e qui torna una domanda che ultimamente mi pongo insistentemente (azz! …ma come sono messo…che razza di domande mi pongo):
non è che il virale sia solo una tattica?
ma adesso basta, è tardi per fare outing. io mi vado a leggere un post interessante di karl long (futurelab) che introduce il concetto di “social equity”.
il post si intitola:” oltre il viral: 3 idee per un marketing della co-creazione”
Secondo l’autore del post il concetto di “co-creative marketing” è qualcosa che dovrebbe essere inglobato nel DNA di un prodotto o di un servizio.
Un elemento in grado di generare un forte VALORE nel tempo, qualcosa che contribuisca a generare quella che lui, appunto, chiama social equity.
“la social equity si costruisce, aggregando, connettendo, riflettendo e amplificando l’insieme dei piccoli gesti/interazioni degli utenti nel tempo, così che l’insieme vale più della somma delle parti…una sorta quasi di network effect, più le persone usano un prodotto o un servizio e partecipano più questo acquisisce valore “
…e tutto questo fa naufragar me dolce…nel social networking e su come le aziende lo possono interpretare per produrre e per comunicare…meglio! si intende.
ah!… dimentico NON tutte le aziende!